Un’esperienza da fare prima di morire è certamente quella di partecipare a un matrimonio in Campania, magari non in città perché lì, sì, si mangia tanto, ma ormai viene meno una lunga serie di peculiarità che, nei paesini di provincia, è ancora possibile scoprire.
La celebrazione si tenne quindi in quest’agglomerato di campagna, a pochi chilometri da Albanella, nel salernitano. Pare che i matrimoni, lì, si celebrino principalmente durante ’a stagione, cioè d’estate.
La prima cosa che notai fu l’assenza in piazza del palco del festival. Il tribunale inquisitorio di zona aveva, evidentemente, già provveduto al ripristino dei roghi. Serviva quindi spazio.
Tanto per iniziare, la sposa era abbigliata secondo lo stile sobrio e minimal della zona: décolleté con scollatura vaginale -opportunamente celata in chiesa con un velo-, dodici metri di strascico, bustino in pizzo, acconciatura tipo Marie Antoinette di Sofia Coppola. Bellissima. Di Venere aveva proprio tutto, compreso lo sguardo e le malattie. Lo sposo, invece, indossava un abito bianco avorio con fodera dorata, la cui fantasia richiamava le tende di casa e non aveva nulla da invidiare al sultano di Aladdin.
La tradizione, inoltre, voleva che gli sposi dovessero invitare al ricevimento tutti gli abitanti della frazione, oltre, ovviamente, i parenti e gli amici che sarebbero venuti da fuori.
Il giorno del matrimonio, dalle 9:00 alle 13:30 ci fu la santa messa, la quale venne celebrata dall’unico parroco della frazione: un signore che andava verso i cento, assai prolisso e lento nell’esprimersi. La sposa si recò sul posto in carrozza: questo per mantenere una coerenza con le precedenti esibizioni, essendo arrivata in pony per la prima comunione e a cavallo per la cresima. Per i funerali, immagino, un cocchio con due pariglie nere.
Durante la funzione, oltre ai tre fotografi ufficiali, lo zio ricco della sposa dovette riprendere l’intera estenuante celebrazione, così da allietare, per i nove mesi successivi, chiunque avesse desiderato recarsi a casa della coppia. La registrazione, scrupolosa e montata con perizia in stile Istituto Luce anni ‘40, includeva esclusivamente transizioni a stella, a cuore e a serratura, essendo lì ancora vigente Windows XP con l’ormai famigerato Windows Movie Maker. Rivelandosi particolarmente creativo, nei tempi morti (che furono tanti), lo zio incollò, a riempitivo, scene prese da La passione di Cristo di Mel Gibson e da un intramontabile I Dieci Comandamenti del ’56, essendo egli anche di stampo un po’ più classico.
Subito dopo la funzione, ci dirigemmo verso il ristorante che, per fortuna, era adiacente alla chiesa. Lì attendemmo l’arrivo degli sposi per il brindisi; questi ebbero circa una mezz’oretta per scattare le foto del loro book in una sorta di villa comunale adiacente al ristorante. Al fotografo furono commissionati, con quelle foto: cuscini, federe, poster, gigantografie, cover per il cellulare e calendari da regalare. Dalle 14:00 alle 21:30 ci fu il pranzo.
All’arrivo della coppia si aprì il buffet con ogni tipo di antipasto possibile, dopo mezz’ora si cambiò sala e si andò in quella con il buffet dei primi, dopo ancora in quella dei secondi e dei contorni. Nel menù trovai ogni tipo di prelibatezza, incluso un vitello rigorosamente vivo, affinché i bambini ci potessero pazziare nu poco, prima di buttarlo sulla brace.
Alle 15:30 iniziò il pranzo vero e proprio, composto da almeno tre primi, tre secondi e due sorbetti. Seguì la sala con il buffet dei dolci e, ovviamente, quella della frutta.
Al calare del sole, gli invitati più esuberanti si lanciarono in pista al suono di una fisarmonica. Questo mentre l’animazione, composta da un comico napoletano e da un circense sputafuoco, allietava chi preferì rimanere ricoverato a tavola senza scarpe.
Alle ore 21:00 ci fu il taglio della torta con relative foto di rito. Tutti gli invitati dovettero assolutamente farsi immortalare con gli sposi e il dolce, la famiglia intera andò fotografata in diverse composizioni, incluse le standard: nonna materna/sposi, nonna paterna/sposi, nonne/sposi, nonna materna + sposa + madre della sposa, etc. La nonna era la costante.
Appena dopo le foto e il taglio della torta, il papà della neo-moglie tenne un discorso strappalacrime durante il quale rivendicò la soggettiva bellezza della figlia e rimembrò di quando l’accompagnava a scuola in calesse o quando le concesse di “andare da sola in pullman in città, per l’università”.
Mangiato il dolce e terminato il pranzo, tornai a casa dello sposo a rinfrescarmi; per quelli venuti da fuori, gli sposi provvidero alla loro sistemazione in una pensioncina adiacente al ristorante. Sì, era tutto un po’ adiacente, in questo luogo.
A mezzanotte si andò in aperta campagna, a casa della sposa, per una spaghettata tutti insieme e si restò lì fino alle 3:00.
A quel punto, gli invitati si ritrovarono a un bivio, tipo il programma di Enrico Ruggeri. Infatti, se si fosse andati lì per lo sposo, ci si sarebbe tranquillamente potuti ritirare a riposare; se, invece, si fosse stati invitati dalla sposa, bisognava recarsi a casa della matrona della famiglia per un santo rosario, insieme a tutte le zie della festeggiata. Questo rito sarebbe durato almeno un’oretta, al termine della quale la padrona di casa avrebbe offerto un dolce appositamente preparato per l’occasione e che non era possibile rifiutare, in quanto, altrimenti, si sarebbe pigliata collera.
Il giorno seguente feci una rapida colazione, a base di limone e bicarbonato, a casa dello sposo e raggiunsi gli altri invitati. Con loro passai in processione sotto l’abitazione della nuova coppia per applaudire al lenzuolo bianco, esposto a bandiera fuori dalla veranda: su di esso, la sposa aveva rovesciato una Simmenthal, così da felicitare la nonna.
Ore 13:00, raggiungemmo i neo-coniugi (in quell’occasione in abito casual, ma sempre con richiami all’avorio), presso il medesimo ristorante della giornata precedente, per ripetere l’intera trafila.
Alle 22:00 salutai tutti, ricevetti l’indescrivibile bomboniera, lasciai il regalo e fuggii prima di rischiare un ulteriore invito per le nozze delle ventisei cugine dello sposo, con cui avevo diviso il tavolo.
Questo testo è un estratto del libro “Distruggere i sogni altrui esponendo la realtà oggettiva” edito da Echos Edizioni, per tanto è protetto da copyright e non lo si può copiare o riprodurre senza esplicita approvazione dell’editore.
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